Lago Carbonè 6 e 7 Agosto 2009 ( Valle Gesso )


Ecco una buona notizia, si trova in libreria l'attesa e bellissima ristampa del libro "Ali spezzate" di Costagli - Unia.

Nelle sue pagine, il racconto dell'immersione effettuata nel lago Carbonè al fine di documentare i reperti ancora presenti del Dakota americano che si schiantò nei suoi pressi nel lontano 54'.

Il libro è molto interessante e porta il lettore alla conoscenza di eventi dimenticati e sconosciuti avvenuti sulle nostre montagne. 

Grazie a Sergio Costagli e Gerardo Unia che hanno trovato interessante il mio reportage sulla spedizione.

Buona lettura!

 

 

sito da visitare:

https://aircrashitaly.jimdo.com/


Dear Alessio,

 

Congratulations on your excellent website! Sergio Costagli (Ali Spezzate) provided a link to your website. I was one of the Americans that visited Monte Carbone’ in 2010 with Sergio and Elio Dutto (Cuneotrekking).

First, I wish to thank you for providing such a clear documentation of the crash debris, both on the land and in Lago Carbone. I am sure the items in the lake were completely unknown until you located and photographed them!

My cousin, Earl Frank Tooley, was aboard the C-47 which crashed there in 1954. He was the only child of my aunt, who never recovered from his death.

Since 2009, I have tried to learn everything possible about the crash. Through this work, I have located and spoken with the families of 16 of the men who died in the 1954 crash. I have sent each of them a link to your website, which they have viewed with great interest! When you made your dive in Lago Carbone, perhaps you did not know that the families of the men from the plane would view your work!

I wanted to send a note to introduce myself and to express my gratitude for sharing your work on the internet. It is my hope that within a few years I will return to Cuneo, and perhaps we can meet in person. Also, I hope you can pardon my use of the Italian language—I use Google Translate!

Also, for your interest, I include a link to an American Air Force video, showing the recovery of the bodies from Monte Carbone.

 

Bruce Zoitos
Buffalo, NY


Tutto è cominciato anni fa quando venni a sapere di alcuni incidenti aerei avvenuti sulle Alpi Marittime. Tramite il libro “ALI SPEZZATE _ 50 anni di incidenti aerei sulle Alpi sud-occidentali” di Costagli-Unia documentarsi fu semplice. Di tutti gli avvenimenti descritti, due in particolare colpirono la mia attenzione. Il 29 novembre '47 e il 24 ottobre '54 due aerei Dakota C-47 dell' U.S. Air Force si schiantarono sul monte Carbonè in valle Gesso, oggi territorio all’interno del Parco naturale delle Alpi Marittime. Purtroppo ci furono parecchie vittime, 20 persone nel primo incidente e 21 nel secondo. I resti del primo aereo vennero trovati da un giovane pastore che, per casualità, si spinse alla ricerca di alcune pecore smarrite nei pressi del lago Carbonè, questo solo nell’agosto del 48’, ben nove mesi dopo lo schianto. Il secondo aereo invece scomparso il 24 ottobre 54’ venne ritrovato cinque giorni dopo. Su questo incidente è interessante il fatto che l’aviazione americana mobilitò una vera e propria armata dell’aria alla ricerca dell’ aereo. All’aeroporto di Nizza furono presenti più di 30 fra aerei ed elicotteri americani, inoltre, venne dirottata nel Mediterraneo persino la portaerei Lexington per le ricerche. Cosa giustificava tanto impressionante impegno di mezzi e uomini? Come si legge sul libro: “Gli americani colsero l’occasione creata dalla scomparsa del Dakota per verificare e migliorare le loro capacità tecnico-organizzative; fu, insomma, anche un’esercitazione in condizioni assolutamente reali. A bordo dell’aereo non c’era nessuna persona e nessuna cosa tanto importante da motivare un tale impiego di mezzi e di uomini.”.

Ma perché in me tanta curiosità? Bisogna sapere che il monte Carbonè si trova in uno degli angoli più belli delle Alpi Marittime e che ai suoi piedi vi è un bellissimo e angusto lago dove sicuramente si trovavano i rottami dei due aerei. Cosa volere di più? La montagna, un lago alpino, la storia. Subito della cosa ne parlai con Gianni che, ovviamente, fu anche lui colpito da questi eventi. La decisione fu unanime: “bisogna andare lassù: cosa c’è nel Carbonè?”. Ovviamente anche a Roby ed Elvio la cosa interessava…loro lassù erano già stati parecchi anni fa con l’elicottero, ma volevano assolutamente ritornare: perché? Avevano tralasciato qualcosa? La risposta è ancora li che attende.

Ma come fare ad andare lassù? Bisogna sapere che per raggiungere il lago non è semplice, soprattutto contando i trenta chili di attrezzature per subacqueo. Il dislivello è elevato, 1600 metri da San Giacomo di Entracque (quota 1200m)  fino al colle del Carbonè (quota 2800m) ai quali si somma una lunga discesa, in quanto il lago è infossato a quota 2550m.

Ovviamente con l’elicottero sarebbe stato semplice ma il tutto andava fatto diversamente. In quegli anni parecchi uomini, fra alpini e civili, salirono su quei sentieri d’alta quota per recuperare le salme ed i materiali, con grande sacrificio. Noi dovevamo fare la stessa cosa. Bisognava in qualche modo rievocare quegli uomini e a nostro modo portare memoria delle numerose vittime. 

Rievocare ha anche significato utilizzare, per il trasporto dei materiali, degli sherpa straordinari: gli asini. Questo ha reso tutto molto “sostenibile” a livello ambientale, e questo era uno dei principali obiettivi. Tramite Enrico, collega accompagnatore naturalistico, sono venuto in contatto di Luciano e Daniela dell’agriturismo LUNGASERRA che con passione e dedizione allevano muli e asini.

Ovviamente anche loro non si sono tirati indietro, usare i loro animali per una “spedizione” simile non poteva che interessarli. Parlo di spedizione perché la cosa che si stava organizzando stava proprio prendendo quella direzione: un obiettivo, persone con un proprio ruolo, logistica, animali da condurre…insomma una squadra con un unico fine: cosa c’è nel Carbonè?

Fissata la data del 6 e 7 agosto si è dovuto contattare il Parco Naturale delle Alpi Marittime per i permessi di transito con gli asini e per potere avere le chiavi del casotto dei guardia parco al lago del Vei del Bouc (quota 2000m) che sarebbe servito come appoggio logistico in caso di maltempo.

Grazie al gentilissimo Geom.Canavese, vicedirettore del Parco, non ci sono stati ostacoli e come lui  l’ Arch.Gosso, sindaco di Entracque, ci ha concesso il transito per poter portare i materiali fino al Pra del Rasour dove comincia l’attacco del sentiero.

C’era però un problema: vista la straordinaria quantità di neve caduta questo inverno, come sarebbe stato il lago per quella data? Ghiacciato?

A inizio luglio, Luciano, per vedere le condizioni del sentiero dove avrebbe dovuto fare passare gli asini è salito fino al colle del Carbonè…brutte notizie: neve sopra i 2400m, lago al 95 per cento gelato e cosa peggiore, sentiero in pessime condizioni per le frane conseguenti alla neve.

Dopo esserci consultati si è presa comunque la decisione di non spostare le date prendendo in considerazione di effettuare l’immersione sotto il ghiaccio e per quanto riguarda la salita munirsi di picco, pala e corde per fare passare gli asini. Piccola nota: non si parla di muli perchè ormai le vecchie mulattiere che portavano fino al bordo del lago non esistono più; ridotte a stretti sentieri, solo animali più piccoli e maneggevoli come gli asini possono percorrerle.

L’immersioni sotto i ghiacci rendeva la cosa ancora più complicata, già un’immersione in quota rappresenta le sue problematiche legate: alle attrezzature dedicate, all’uso della muta stagna senza il jacket equilibratore, alle acque fredde, e la scarsa visibilità. A tutto questo si aggiunge il fatto che sono immersioni condotte in solitaria per esplorare maggiore superficie di lago nonostante i rischi legati alla elevata ristrettezza delle tabelle di decompressione in special modo non avendo effettuato 48 ore di acclimatamento in quota.

Rimandare significava che, se le condizioni del tempo fossero state avverse, non avremo potuto scegliere altre date; a settembre il rischio di nevicate improvvise sarebbe stato alto.

Dopo una settimana dalla salita di Luciano, salgo fin sopra il lago Vei del Bouc a vedere se la situazione neve era migliorata…poco di diverso da prima, anzi, dopo avere visto le condizioni del sentiero, mi sembra impossibile che gli asini, per di più carichi, possano percorrerlo.

Altra riunione, ma stavolta siamo pessimisti…si farà ancora una visita alcuni giorni prima del 6 agosto; se il sentiero sembrerà effettivamente troppo rischioso per gli animali si salirà a piedi magari contando un giorno in più di permanenza. Cosa veramente massacrante…ma ormai bisognava salire.

La data della partenza è prossima e  Luciano i primi di agosto torna a fare l’ultima visita.

Finalmente le buone notizie: il Parco ha sistemato il sentiero fino al Vei del Bouc e il caldo ha fatto il suo lavoro. Fino al colle del Carbonè la neve è presente solo più a brevi tratti e il lago è parzialmente libero, in oltre metà delle sue fredde acque si specchiano le montagne che lo circondano.

Ormai l’entusiasmo è elevato, in più, le condizioni meteo per quei giorni sembrano favorevoli fino al tardo pomeriggio dell’ultimo giorno.

Un membro ci lascia, Elvio deve rinunciare per problemi di lavoro.

Siamo in 11 ognuno con il proprio ruolo: io,Gianni e Roby i sommozzatori; Manuela assistente di superficie; Federica per eventuali emergenze sanitarie; Luciano, Daniela e Sara i someggiatori; Elvis, Romeo e Demimò gli sherpa.

Finalmente arriva il giorno della partenza. Ritrovo alle ore sette e mezza a Valdieri con Luciano e company, mentre un po’ prima io, Manuela,Gianni,Federica  a Borgo San Dalmazzo dove ci aspetta Roberto con fuoristrada e carrellino su cui carichiamo i materiali. Sembra incredibile ma tutto lo spazio disponibile viene occupato, ed ecco nascere i primi dubbi…riusciranno i poveri asini a portare tutto? Dovremo rinunciare a qualcosa? Ma cosa? Tutto quello che abbiamo con noi serve per l’immersione e per il bivacco, purtroppo non possiamo lasciare niente. Dopo l’incontro con i someggiatori si parte alla volta di San Giacomo di Entracque dove alla prima sosta facciamo conoscenza con i nostri carissimi e preziosi sherpa: Elvis,Romeo e Demimò. Sono bellissimi e fanno tenerezza vederli stipati sul trailer…tutti abbiamo pensato alla stessa cosa: riusciranno a portare tutto?

Si parte per tentare di arrivare a Prà del Rasur ma già dai primi tornanti si capisce che il pick-up con il trailer di Luciano non può farcela, le curve sono troppo strette e gli asini troppo scossi. Daniela e Sara prendono alla guida gli animali e proseguono a piedi, Luciano parcheggia in una piazzola il carrello e li raggiunge. Io e Gianni  prendiamo  il pick-up e raggiungiamo gli altri alla piazzola vicino all’attacco del sentiero. Ecco arrivare finalmente gli animali, e dopo una rapida spazzolata al fiume, Luciano prepara ceste e basti per le attrezzature. Dopo un po’ di spostamenti di carico eccoli pronti…persino per una bombola di emergenza si è trovato posto. Finalmente si parte e aprono il gruppo proprio gli sherpa con i conduttori, mentre Roby filma con la telecamera ed io fotografo per documentare la tanto attesa salita. Primo ostacolo un bel attraversamento di ruscello in piena ma gli animali non mollano sembrano non sentire il carico e viaggiano tranquilli. Si arriva al lago Vei del Bouc senza troppi problemi grazie al Parco che ha risistemato il sentiero ma dopo la cosa diventa difficile, il sentiero è tutto in contropendenza, franato e friabile! In questa fase anche noi diamo una mano agli asinari, stando a monte degli animali, li teniamo per i basti per dargli una mano a non scivolare. Passati un centinaio di metri di dislivello il percorso torna ad essere tracciato in maniera decente e la comitiva sale senza problemi. Lo spettacolo è sempre più entusiasmante, i monti di fronte a noi manifestano tutta la loro imponenza, il Clapier, la Maledia, il Gelas e più lontano l’Argentera sembrano li a portata di mano, si possono quasi toccare. Tutto adesso scorre al meglio siamo a quota 2600 e si sta già pensando che forse il campo riusciremo a farlo veramente sotto il passo Carbonè, ma ci pensa Elvis a riportarci alla realtà. Appena sopra uno spiazzo decide di fermarsi e letteralmente si siede stremato…inutile provare a farlo rialzare, per oggi il suo lavoro e quello dei suoi colleghi giustamente finisce. Si sono comportati bene e così hanno deciso loro dove fare il campo base, proprio di fronte al rifugio Pagarì…chissà se stanotte il gestore Aladar e clienti vedranno delle luci sospette davanti a loro. Luciano scarica gli animali dal peso, e adesso con i materiali a terra tocca anche a noi lavorare un po’, ci sono da montare le tende, andare a cercare acqua e preparare la cena. Alle ore 16, tende montate e abbiamo preso un po’ d’acqua qualche centinaio di metro sopra da un ruscello creato da un nevaio. Si decide di andare tutti insieme al passo a vedere finalmente il lago. Più si sale e più sembra fare caldo…il sentiero è ben tracciato e in qualche punto si passa su neve. Dopo meno di un’ora siamo a quota 2800 e sotto di noi si presenta il lago. Parzialmente coperto di neve, ci dimostra tutto il suo fascino, incassato così in mezzo ai monti sembra quasi incutere un certo timore. Non ci sembra vero, è da qualche anno che aspettiamo di essere li. Le classiche foto di rito non riescono nemmeno ad inquadrarlo tutto, ma non importa, domani sarà tutto per noi. Si dovrà comunque scendere di 250m su una traccia di sentiero bella ripida, ma comunque fa parte del gioco. Si torna al campo e non ci tocca altro che preparare la cena; fuori il pentolone, la polenta extra rapida ci aspetta. Per una volta mi metto ai fornelli, almeno bollire l’acqua e girare qualche minuto la farina non è così complicato, e sembra che il risultato non sia riuscito male, tutti sembrano gradire, anche perché un bel piattone di polenta in quota non si disprezza mai. Gianni ha anche portato il vino che rende tutto ancora più speciale…delle belle risate fanno eco in valle, è proprio una bella serata! Cala la sera e arriva l’ora di andare a dormire, domani sveglia alle 5.

Le stelle sono tantissime ed è una meraviglia, sembra di essere lontano da tutto, quassù è spettacolare, ma ormai è tardi bisogna riposarsi…buona notte.

Suona la sveglia, e subito tutti fuori dalle tende, qualcuno si è riposato, qualcuno ha trovato le pietre dure e a qualcun altro è crollata la tenda! Gli asini sono attivi e lo sono stati tutta la notte, sono persino riusciti a liberarsi dalle corde e a mangiare erba attorno alle tende. Luciano è già al lavoro, prepara le ceste per il trasporto delle attrezzature, mentre tutti gli altri si fanno una bella e sostanziosa colazione a base di biscottini. Uno lavora e gli altri guardano! Tutto  pronto, si parte, e in poco tempo eccoci di nuovo al colle dove avviene il trasferimento dagli asini alle nostre schiene. Ora ci tocca scendere per un ripido sentiero dove bisogna fare attenzione a non cadere anche perché, verso la fine si trasforma in pietraia e poi in nevaio. Arrivati in fondo senza troppi problemi si decide di vestirci ed indossare le attrezzature sui massi, e poi farci una bella passeggiata sopra il lago innevato fino a giungere all’acqua. Nel mentre si alza la nebbia e tutto sembra particolarmente tetro, ma le speranze sono che riesca il sole, e nel mentre, carichiamo di pietre le sacche di zavorra. Siamo particolarmente emozionati, finalmente il lago è li, ancora pochi minuti e saremo nelle sue profondità. Ora  che siamo vestiti e zavorrati facciamo un bel tratto sulla neve e troviamo un comodo posto dove indossare le pinne e fare gli ultimi controlli, nel mentre gli altri sono sull’altra sponda, Manu e Fede ci danno una mano. Ci siamo dati tre percorsi diversi da compiere, io sulla  sponda nord, Gianni più sul centrale e Roby sulla sponda sud. Ogni 10 minuti si riemerge per darci informazioni su quello che eventualmente abbiamo trovato così da concentrarci eventualmente su un solo punto interessante. Un ok e scivoliamo letteralmente in acqua. È molto freddo e la prima cosa che mi lascia di stucco è il ghiaccio che ha uno spessore di almeno due metri e mezzo, la visibilità è abbastanza buona, almeno rispetto ad altri laghi.

Mi stacco dai compagni e comincio a scendere per trovare la massima profondità e risalire lentamente dove ritengo ci siano più reperti, vicino a riva. Raggiungo i 13 metri e più che deposito e sassi nulla. Ad un certo punto ecco finalmente i primi rottami, pezzi di lamiera in alluminio e alcuni cinghie piatte forse di canapa. Ci siamo, forse qualcosa di interessante in questo freddo lago lo troveremo. Mentre proseguo la ricerca trovo altri oggetti; tubazioni, dei sacchi e il gigantesco copertone del carrello. Scadono i primi 10 minuti, risalgo lentamente in superficie ritrovando in lontananza Roby e Gianni. Comunicare è difficile, la distanza è tanta e l’eco storpia le parole. Comunque anche loro hanno trovato qualcosa e nei vari segni ci scambiamo il pollice in giù per la nuova immersione. Adesso mi spingo al centro del lago e dopo un po’ di tempo ecco in lontana una strana sagoma che si sposta lentamente…è Gianni che si è fatto scambiare per un mostro del lago. Un rapido ok, uno scambio di foto e di nuovo ognuno per la sua strada. Ecco di nuovo altri rottami, pezzi di stoffa, lamiere e parti arrugginite…la mente vola ai giorni degli schianti, ai millesimi di secondo in cui decine di persone perdono la vita, alle fiamme, al fragore e poi al nulla che riavvolge la conca del lago. Salgono i brividi a pensarci e a questo si aggiunge il freddo dell’acqua. La sensazione di gelo è sempre più forte e torna il pensiero ai sopravvissuti…si narra di due passeggeri che da come furono ritrovati, si pensa non morirono subito ma per le ferite e il freddo cessarono di vivere poco dopo. Brutti pensieri…un occhio al profondimetro ed ecco altri dieci minuti sono passati, risalgo in superficie. I miei amici sono poco lontano, ci ritroviamo e ci scambiamo velocemente due parole su quello che abbiamo trovato, ma ecco Luciano che da poco lontano ci chiama. Da sopra una roccia ha visto qualcosa di interessante. Ci spingiamo sopra il posto indicato e di nuovo sotto. Bombole di ossigeno arrugginite e un insieme di stoffa e ferro, probabilmente uno dei seggiolini del Dakota. Questo è l’unico pezzo che abbiamo tirato fuori dall’acqua per farlo giustamente vedere a Luciano che lo aveva intravisto. Dopo è stato ributtato dentro l’acqua per non violare gli eventi, per non disperdere i ricordi…quel materiale è li da decine di anni ed è giusto che continui a rimanere custodito nel freddo del lago. Proprio il freddo ci attanaglia, quindi si decide di concludere l’esplorazione. Siamo soddisfatti di quello che abbiamo potuto vedere sotto, finalmente dopo tanto tempo siamo riusciti a fare questa tanto desiderata immersione. Ma ci attende un’altra sorpresa. Quando giungiamo verso la sponda di ingresso scopriamo che è tutto cambiato. Il ghiaccio, gli iceberg che c’erano 40 minuti prima si sono spostati e hanno cambiato fisionomia…grande stupore e che comiche uscire dall’acqua, sembravamo dei pinguini che continuavano a scivolare dentro al lago. Non ci rimaneva che cambiarci e smontare le attrezzature mentre gli altri cominciavano la risalita verso il colle così da spreparare il campo. Il tempo volge al brutto e dobbiamo sbrigarci, abbiamo ancora un bel po’ di fatica da fare, ma siamo veramente contenti ed entusiasti. Condividere una così bella esperienza con Gianni e Roby è un ricordo da portare sempre nel cuore. Ormai siamo pronti e con un po’ di fatica siamo sul colle Carbonè dove salutiamo il nostro amico lago…torneremo lo sento.

Ormai il sentiero è tutto in discesa e la giornata terminerà con un bel temporale che farà da chiusura alla giornata.

Grazie ai compagni, grazie agli accompagnatori e un grande saluto agli asini che ci hanno permesso di vivere queste belle giornate in compagnia.

Il tutto in memoria dei passati eventi su queste nostre impervie montagne.

 



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